lunedì 31 marzo 2014

[il mondo delle donne] - Meravigliosamente donna (Silvia Devitofrancesco)

Meravigliosamente donna
Un'altra dura giornata di lavoro si è conclusa. Guardo l'orologio e sorrido felice: sono le diciotto in punto. Spengo il computer, mi alzo dalla scrivania, afferro la giacca e la borsa ed esco da quella stanza nella quale ho trascorso le ultime otto ore. Saluto i miei colleghi e mi precipito fuori dalla casa editrice. Ebbene, lo devo ammettere. Svolgo un lavoro stupendo. I libri mi hanno affascinata da sempre attraverso il loro odore, le parole che, unite, creano trame e personaggi, le emozioni che, di riflesso, vive anche il lettore. Il mio lavoro consiste nella valutazione degli inediti. Un compito, a volte, molto difficile soprattutto quando sei costretta a comunicare all'autore di un dattiloscritto che il suo romanzo non rientra nelle linee editoriali della casa editrice. In quel momento prendi coscienza di aver distrutto il sogno di una persona, la quale aveva riposto in te e nella tua professionalità tutta la sua fiducia. Esattamente due ore fa ho inviato una mail “distruggi aspettative” a un'aspirante scrittrice e il mio umore è decisamente a terra, poiché, nonostante il mio capo mi ripeta continuamente di non lasciarmi coinvolgere, io non riesco proprio a fingere che si tratti di pura routine. <<Le donne possiedono una maggiore sensibilità rispetto agli uomini!>> è la mia consueta risposta e la sua consueta replica è uno sguardo rivolto al soffitto. Sembriamo quasi due attori che interpretano una scenetta di una commedia.

Oggi è una giornata tipicamente autunnale, cielo grigio, vento fresco e poca gente per la strada. Stringo la giacca di pelle con le mani e mi dirigo verso il centro. Potrei percorrere una via più breve per tornare a casa, ma preferisco quella più lunga anche perché desidero comprare una sorpresina per la mia principessa che mi aspetta a casa impaziente in compagnia della babysitter. Mi dirigo con passo deciso verso un grande negozio di giocattoli e scelgo il bambolotto che tanto desidera. Pago e corro via diretta verso casa, in direzione della mia ragione di vita.

La mia principessa si chiama Giada. È una splendida bambina di cinque anni, dai lunghi capelli rossi, lisci come spaghetti, dai profondi occhi verdi e dalle manine piccole e paffute. Giada ha rappresentato la mia salvezza da una vita sbagliata, è stata il mio reset.

L'ho concepita quando credevo nella forza magica dell’amore, quando credevo di aver trovato l'Amore. Vedevo in quell'uomo maturo la sicurezza e la stabilità che cercavo disperatamente. Sposarsi, formare una famiglia, vivere nell'armonia ed essere, per i nostri figli, un porto sicuro, erano i miei nuovi desideri. Lui, dal canto suo, promise che sarebbe stato perfetto. Avrebbe abbandonato i vizi del fumo e dell'alcool nei quali aveva trascinato anche me e avrebbe scelto la tranquillità del focolare domestico. Io credevo che un uomo fosse potuto cambiare per amore. Povera illusa!

Avevo iniziato a lavorare da qualche mese presso la casa editrice “Yourbook”, quando mi accorsi di essere incinta. Che emozione vedere le due barrette lilla sullo stick! Mi sentivo diversa, euforica, “meravigliosamente donna”, poiché, in me, stava avvenendo il miracolo della vita. Tutti i miei pensieri confluivano verso quell'esserino che cresceva nella mia pancia. La sera stessa diedi il lieto annuncio al futuro papà e l'incanto finì. <<Amore, avremo un bambino!>> gli dissi, porgendogli un paio di scarpine da neonato. Lui spalancò gli occhi, mi baciò e si chiuse nel suo silenzio.

La mattina seguente un biglietto posto sul suo cuscino mi presentò la triste realtà: “Mi dispiace. Non sono pronto. Dimenticami. G.” Mi sentii morire. Tutto quello che avevo costruito fino a quel giorno era crollato come un castello di carte. Cosa avrei fatto adesso?

Scelsi la soluzione che credetti più giusta. Un atto coraggioso a detta di molti, ma, per me, naturale: avrei fatto trionfare la vita. Avrei lavorato sodo per garantire una vita adeguata al mio bambino.

Lavoravo tutto il giorno, tornavo a casa distrutta e il giorno seguente ero di nuovo carica. Possedevo un'incredibile forza di volontà, un'incredibile resistenza, per il semplice fatto che fossi una donna. “Donna” che suono melodioso, che creatura straordinaria capace di vincere il dolore, perché se Dio ha voluto che fossimo noi a donare la vita, allora, certamente, saremmo state in grado di sopravvivere a qualunque tipologia di dolore.

Questi ricordi fanno scendere, dai miei occhi, alcune lacrime. Le asciugo col palmo della mano e salgo le scale.

Non appena chiudo la porta di ingresso, Giada corre verso di me. <<Mamma, mamma, finalmente sei tornata!>> <<Amore mio, quanto mi sei mancata. Ti ho portato un regalino.>> Leggo nei suoi occhi felicità e sorpresa. È incredibile quanto somigli a suo padre. Quel padre del quale lei ignora l'esistenza, quel padre che io ho fatto uscire di scena dicendole: <<Purtroppo è morto in un incidente stradale prima che tu nascessi, perciò non ci sono fotografie.>>

La mia bimba scarta il pacco e salta per la casa felice, mentre io con un cenno della mano congedo la babysitter. Adoro indossare i panni della mamma. Stare con mia figlia, giocare con lei, guardare i cartoni animati in TV. Giada si addormenta tra le mie braccia mentre stringe a sé il suo nuovo bambolotto. La metto a letto e pongo fine a un altra giornata.

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Giungo a lavoro puntualissima, come sempre. Odio essere in ritardo. Mi organizzo come se fossi una macchina perfetta: la babysitter arriva in anticipo di mezz'ora, le affido i compiti della giornata, saluto Giada, esco di casa, acquisto il solito quotidiano e mi dirigo a lavoro.

Non appena varco la soglia della casa editrice, il mio capo mi accoglie raggiante e con un sorriso a trentadue denti. <<Parteciperemo al “Books event” di Firenze. Si tratta di un'importante vetrina per questa piccola casa editrice pugliese.>> Sorrido anch'io. Ho sempre creduto nell'importanza della diffusione della lettura e nella valorizzazione del patrimonio culturale del Sud Italia, per cui replico con un tono altrettanto raggiante: <<Preparo le valigie per me e la mia bimba.>>

Lui mi guarda sconcertato: <<Non stiamo parlando di un viaggio di piacere.>> <<Sono una madre che lavora e, ripeto, mia figlia verrà con me!>> replico seccata. Se qualcuno osa toccare fisicamente o verbalmente mia figlia, io, sua madre, divento una bestia pronta a difenderla con le unghie e con i denti. <<Laura, ragiona un attimo. Non è un viaggio adatto a una bambina!>>

Non lo sto più ad ascoltare, ormai sono partita in quarta. <<Io sono la madre e io sono in grado di decidere cosa sia meglio per lei. Non la lascerò mai a casa!>> replico urlando <<In alternativa potrei rinunciare al viaggio e restare qui!>> Riesco a tenerlo in pugno. So bene che non accetterebbe mai. <<No>> <<E dunque?>> incalzo e lui cede: <<E dunque portala con te, a patto che la tua figura di madre non abbia il sopravvento.>> Sorrido e concludo dicendo:<<Sono una donna. Possiedo mille risorse!>>

Torno a casa stanchissima a causa dei preparativi per l'evento e annuncio alla mia principessa che partiremo. È incredula. Salta, corre e pensa a cosa portare con sé. <<Amore, verrà anche la babysitter con noi.>> <<No mamma, non la sopporto. Andiamo solo io e te. Sarò buonissima.>> La mamma è sempre la mamma! Mi sento stringere il cuore e cerco di farla ragionare. <<Amore, dai, tu sei una bimba grande... la mamma dovrà lavorare, se no il capo la caccia. Mentre io lavorerò, tu dovrai stare con lei.>> <<Uffa! Non mi vuoi bene!>> Tipico attacco di gelosia. Resto muta. La abbraccio e continuo a preparare la sua roba.

Durante il viaggio in treno Giada non dice una parola. Guarda fuori dal finestrino tenendo il broncio. Soffre in silenzio proprio come una donna. Mi provoca una tenerezza infinita.

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Il lavoro in fiera è faticoso. Bisogna essere competitivi, presentare i libri, attirare l'attenzione, essere sempre cortesi e sorridenti. Il nostro obbiettivo è far emergere una piccola casa editrice e lotteremo con tutte le nostre forze per realizzarlo.

La mia cucciola visita Firenze in compagnia della babysitter. Sono una madre tendenzialmente apprensiva e ansiosa. Chiamo la ragazza ogni mezz'ora, cercando di non farmi notare dal capo, le chiedo di non lasciare mai la mano di Giada e le faccio mille raccomandazioni... poverina, non vorrei essere nei suoi panni!

Ogni sera, quando gli stand chiudono e torno in hotel, trascorro ore con Giada. Mi racconta cosa ha visto, mi mostra le fotografie e stasera mi ha regalato una piccola coccinella di legno come portafortuna per il mio lavoro. La ringrazio e le faccio il solletico. Che figlia adorabile!

La fiera sta per concludersi. Il nostro fatturato, inaspettatamente, è ottimo. Il nostro obbiettivo è stato raggiunto. I nostri talenti sono stati adeguatamente valorizzati. La voce della cultura è risuonata e i lettori l'hanno accolta. Mentre brindiamo a questo nuovo e importante successo, vedo un folletto rosso correre verso di me. <<Mamma, mamma>> La babysitter giunge da me col fiatone. <<Non sono riuscita a fermarla, mi scusi se l'ho disturbata.>> <<Nessun disturbo. È stata una bellissima sorpresa!>> Mi inginocchio davanti a mia figlia e le dico: <<La tua coccinella ha portato fortuna, sai?>> <<Evviva, evviva>> esclama saltellando.

È proprio questa l'immagine che resterà sempre viva nella mia memoria. Io, vestita con un serio taiellur, che stringo forte la mia bambina. L'emblema del modo di essere della donna contemporanea: donna in carriera e madre premurosa; donna austera e madre affettuosa. La personificazione dell'essere “meravigliosamente donna”.

Il mio capo ci guarda, mi fa l'occhiolino e sorride teneramente. È lui l'artefice di questa magnifica sorpresa. Persino l'icerberg che vive nel suo ego si è sciolto. Annuisce, perché, in fondo, l'ha capito da sempre quanto fossi una grande donna.

©Silvia Devitofrancesco






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