lunedì 2 giugno 2014

[ritratti] - Margherita Hack (Arianna Berna)


"L’amica delle stelle"

Ho scelto di parlare di Margherita Hack perché è una delle donne che più stimo. Di lei mi ha sempre colpito il coraggio di esistere a modo suo, infischiandosene delle convenzioni sociali per portare avanti i suoi ideali e lo stile di vita. Simpatica e semplice, nonostante i titoli di studio, gli incarichi ricoperti e le onorificenze ricevute.
Nasce nel 1922 e muore nel 2013 a pochi giorni dal suo novantunesimo compleanno, per problemi cardiaci.
Nella sua lunga vita Margherita Hack non ha perso tempo, a soli 23 anni si è laureata in Fisica, con una tesi sull'astrofisica. Nella sua impressionate carriera ha fatto un po’ di tutto, è stata docente universitaria, ha diretto un osservatorio, ma non si è limita a questo, ha scritto libri e grazie alle sue doti comunicative e alla visibilità che ha acquistato nel tempo ha combattuto per sostenere quanto in cui credeva: la libertà della scienza, la laicità dello stato e la parità dei diritti.
Il carattere inconfondibile di questa grande donna, che la rendeva speciale era la semplicità.
Semplice nel suo modo di porsi, nel vestire e nel parlare. Così semplice da riuscire a spiegare, concetti difficili prima di lei inaccessibili ai più. Già perché Margherita Hack è stata il primo scienziato a rivolgersi alla massa e a spiegare l'Universo in parole comuni. Sosteneva da sempre che "si dovrebbe insegnare la scienza fin dalle elementari'' e non posso che essere d'accordo, perché la mente dei nostri bambini è una meravigliosa spugna desiderosa di sapere, che va gonfiata di conoscenza.
Difficilmente qualcuno non ha sentito parlare di lei e delle sue tante iniziative. Quello che magari si ignora è che da ragazza era anche una sportiva, appassionata di pallacanestro e atletica leggera. Fu campionessa di salto in alto e in lungo nei campionati universitari. Non ci furono soltanto sport e studio nella sua vita, ma anche un grande amore, Aldo De Rosa che sposò nel 1944. In una lunga intervista che concesse a Repubblica nel 2006, aveva raccontato a modo suo, con l'inconfondibile simpatia toscana che la caratterizzava, gli albori di quel lungo cammino che l'avrebbe accompagnata per tutta la vita “Io avevo 11 anni e lui 13. Ci incontravamo ai giardini pubblici. Giocavamo a guardie e ladri, noi s’era sempre i ladri. Facevamo anche grandi tornei di palla e corse di resistenza. Ci arrampicavamo sugli alberi, e io lo battevo sempre. Ci siamo ritrovati all’università e a dire il vero ci eravamo piuttosto antipatici. Si litigava sempre, non mi ricordo poi com’è finita che ci siamo innamorati e addirittura sposati. Aldo è un’enciclopedia vivente che consulto in continuazione. Imprevedibile, timido, sognatore, come un extraterrestre, il mio opposto”.
Poi, parlando del matrimonio, continua “Io non avevo nessuna voglia di sposarmi. Considero il matrimonio una cosa inutile. In chiesa poi! Mi vergognavo come un cane. Ma i genitori di Aldo erano religiosi, erano credenti, ci tenevano… Il mio abito da sposa? Un cappotto rivoltato. Celeste, credo. E cosa portavo sotto non me lo ricordo neppure. Niente di speciale comunque. Anche Aldo aveva un cappotto rivoltato. Una cerimonia semplicissima, eravamo sette o otto persone in tutto. Nessun pranzo di nozze. Andammo lui e io da soli a mangiare in una trattoria a piazzale Michelangelo. Mangiammo certi spaghetti al pomodoro così cattivi che ancora me li ricordo”.
Non parliamo dei figli! “Mai, mai. Noi i figlioli non si volevano. C’è chi è portato e chi non è portato: io non sono portata. Da ragazza poi mi dava molta noia tutta quella propaganda di Mussolini secondo cui le donne dovevano fare figlioli per forza, e anche tanti. Oggi c’è molta retorica attorno alla maternità. Io preferisco i gatti. Mi hanno cresciuta nel modo più libero, senza ancorarmi ai ruoli femminili, inculcandomi due valori fondamentali: la libertà e la giustizia. Una grande fortuna per me”.
Nell'agosto del 2010 Margherita Hack è stata anche premiata a Torre del Lago Puccini come "Personaggio gay dell'anno" per la sua attività a favore dei diritti civili e del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali.
Nell’ultima intervista rilasciata a Giorgio Pagano dell'Associazione Radicale Esperanto, a pochi giorni dalla sua morte, ha ribadito l’importanza di conservare la lingua italiana nelle università italiane, dichiarando che “Secondo me non bisogna abbandonare la propria lingua, certi concetti si possono esprimere solo quando una lingua si conosce molto bene come la propria”.
Scelte fuori dal coro, su cui si può o meno essere d'accordo, ma in ogni caso denotano una forza e determinatezza di carattere così inusuale nella popolazione femminile, specialmente sua coetanea.
Umberto Veronesi l'ha definita "l'icona del pensiero libero e dell'anticonformismo" ed è così che mi piace ricordarla in questo mio rispettoso e umile tributo.
©Arianna Berna

[il mondo delle donne] - Il lato sexy del Salone del Libro [Monica Coppola]


Il lato sexy del Salone del Libro

Torino, Lingotto Fiere, giovedì 8 maggio.
Sonnacchioso e soleggiato pomeriggio di quello che potrebbe essere un giorno qualsiasi nella capitale dei gianduiotti.
Ma che nell’aria ci sia qualcosa di diverso, oltre al profumo di cioccolato, te ne accorgi subito.
Un bambino mi guarda attraverso il suo binocolo di carta e mi sorride, ricordandomi che oggi è il grande giorno: apre il Salone del Libro.
Pur di non farmi sfuggire l’inaugurazione ho rispolverato le mie abilità drammaturgiche e chiesto un giorno di ferie, causa doloroso trapasso di una fantomatica prozia, mai comparsa nel mio albero genealogico.
E così eccomi qui, con la borsa imbottita di copie del mio romanzo, la testa piena di sogni e una piadina allo stracchino che mi ballonzola nello stomaco, disintegrata a velocità supersonica causa fame nervosa.
Chi non è per niente nervosa è invece la mia amica M., che da quando mi sono messa in testa di fare la scrittrice, ha deciso di assumere pro tempore il ruolo della Fata Turchina personale, tanto per evitare che finissi con il combinare un disastro dopo l’altro, tipo mandare documenti pesanti tonnellate di megabyte, copertine dalle inquietanti immagini mozzate o copie rilegate al contrario.
E ora eccola qui, con il suo sorriso contagioso e la sua andatura rubata alle passerelle, pronta a sostenermi nella "Mission Salone del Libro", con amicizia, dedizione e una buona dose di senso pratico.
Oggi in particolare ha mixato la sua dolce aria da fatina ad un’efficienza di superwoman e così, mentre io cincischio con il naso in su davanti alla Bolla di Renzo Piano, lei sfodera i biglietti elettronici saltacoda, si accolla metà delle mie paffute copie e tempo zero mi trascina dentro.
Sciami di scolaresche con buffi copricapi a porcellini rosa ci ronzano intorno schiamazzando, adolescenti muniti dai ciuffi iperbolici improvvisano selfie accanto a volti noti e distinti signori di mezza età sorridono, imbarazzati e vanitosi, alle telecamere di passaggio.
Cercando di tenere il passo all'efficienza di M. subito recupero due copie del programma.
«Guarda! C’è la Tamaro in sala Gialla! Anche un workshop sui twitter narrativi e… pure Pierò Pelù alle cinque!» parto a raffica con gli occhi sgranati come una bambina «Da dove cominciamo?"
«Da niente di tutto questo» M. appoggia le mani sui fianchi sottili e mi osserva con aria di bonario rimprovero «Hai dimenticato che siamo qui per fare pubbliche relazioni con gli editori?»
All'accoppiata PR ed editori sento un crampo allo stomaco dovuto non tanto piadina fagocitata ma ad un sostantivo di cinque lettere: P-a-u-r-a.
«No, certo, lo so ma …» temporeggio io aprendo il programma a caso «Ecco…visto che siamo qui… Non vorremmo mica perderci l’esibizione folkloristico-cubana dei Sol Ruiz trio no?»
«E da quando hai 'sta passione per i gruppi folkloristici cubani, tu?» mi chiede M. con sospetto.
E qui le mie argomentazioni iniziano a fare acqua da tutte le parti...
In realtà l’unico mio contatto con la musica latino americana è avvenuto attraverso un corso di zumba fitness che si è tristemente concluso quando, al terzo passo di merengue, la mia cervicale è impazzita come una maionese.
A quel punto la parte razionale del mio cervello ha preso la situazione in mano ricordandomi che, forse, alla mia veneranda età sarebbe stato più saggio smetterla di zumpettare ai ritmi caraibici e mettermi buona buona in pantofole, davanti alla tivù, ad indovinare i numeri dei pacchi fortunati.
«No vabbè…E’ che già che siamo qui mi sembrava carino fare un salto e…»
«Ma certo. Ci andremo dopo dai cubani. E se vuoi di salti ne facciamo anche quattro ma prima…» M. gira e rigira la sua mappa come un capitano al timone «Facciamo conoscere Viola ad un paio di editori.»
L’ha ridetto, ecco. E dire che quando l’ho conosciuta mi sembrava una ragazza timida!
Mi sento come Leonardo di Caprio sul Titanic nella scena in cui è ammanettato al palo e l’acqua inizia ad invadere la cabina. Non ho scampo…
E mentre la mia Fatina con una bic blu trasformata in bacchetta tenta di trasformarmi in un’agguerrita Pr io penso che un conto è fare i brillantoni via mail, inviando agli editori lettere di accompagnamento che sembrano spontanee ma che magari sono frutto di notti sonnacchiose e pensose, trascorse al ritmo del tasto canc premuto a manetta, un altro è guardare in faccia i volti di coloro che sfogliando il tuo romanzo, decideranno come in un talent show «per te è sì », «per te è no.»
«Ecco, tu vai qui “Nuove Proposte” io vado dall’altra parte a vedere di trovare il mio amico scrittore, così facciamo due chiacchiere anche con lui…» lei mi mostra la mappa «Ecco, devi andare qui…» e mi mostra un puntino circolettato «Vai dritto, poi a destra, poi dritto, poi di nuovo a sinistra: non puoi sbagliare!» e poi mi sorride contagiosa «Sei pronta? Sei carica?»
«Come un mulo…» aggiungo, con il cuore che sembra rotolare come il copertone di una bicicletta al giro d’Italia.
Dopo qualche secondo M. svanisce inghiottita dalla folla, mentre io traballante cerco di capire il dove diavolo si trovi il primo editore, boicottata dalla sindrome disgrafica che, sempre quando non deve, ricompare facendomi vedere a destra le cose che sono a sinistra e viceversa.
Morale della favola: dopo un paio di svolte, una chiacchierata soporifera con un tizio che voleva appiopparmi un corso sulla memoria e un altro che cercava di accaparrarsi la destinazione del mio misero cinque per mille, non so più dove mi trovo e soprattutto non ho ancora visto nemmeno il naso di un editore.
Sto per desistere quando ecco che davanti a me, invitante, compare un cartello cubitale con la scritta “Valutiamo manoscritti per le nostre collane” accanto allo stand di un biondino slavato che continua a smanettare su un pc on aria distratta.
Un chiaro segno del destino! Perché non tentare?
Raccolgo il mio coraggio, prendo fiato, ripasso mentalmente la mia sinossi e come se mi stessi gettando da una rupe trattenuta solo da un elastico alla caviglia, vado a presentarmi.
«Buongiorno! Ho letto il cartello! Sarei interessata… Può dedicarmi un minuto?»
«Anche due…» il biondino slavato richiude il suo pc e mi guarda incuriosito.
Così, finalmente mi lancio con la presentazione del romanzo.
«E quindi ho pensato che un finale di questo tipo possa sorprendere il lettore e magari creare un aggancio per un’eventuale continuazione…» dopo venti minuti di monologo, accompagnati da un’incalzante secchezza papillare, decido di tagliare corto per evitare la disidratazione.
Il biondino nel frattempo, si è stappato sadicamente un’acqua tonica, ed ha continuato a fissarmi stranito, attraverso le sue lenti senza montatura.
Mi sa che la storia non gli è piaciuta…
«Se vuole posso aggiungere qualche altro particolare sulla struttura narrativa…» chiedo tanto per smorzare quel silenzio fitto che, francamente, inizia ad imbarazzarmi.
«No, la struttura narrativa è molto chiara…» replica, aggiustandosi gli occhiali sulla punta del naso .
«Ovviamente è migliorabile…» mi affretto ad aggiungere « E può essere adattata anche alla vostra linea editoriale…»
Lui guarda me, riguarda la copia che gli ho consegnato e poi si sofferma sul testo con più attenzione.
«In effetti forse con un buon lavoro di editing potrebbe essere adattata…»
«Davvero?» domando già invasa da una nuova corrente di entusiasmo.
«Ho detto forse..» mi corregge prontamente.
«Certo… ha detto “forse”.»
«E con un buon lavoro di editing»
«Ovvio… un buon lavoro di editing…» ripeto io a pappagallo.
Poi la melodia della “Cavalleria Rusticana” parte a tutto spiano dal mio cellulare «Mi scusi solo un minuto…»
Lui scuote le spalle e mi ripropina la sua battuta d’esordio «Anche due…»
«Hey ma dove sei finita?» domanda la voce squillante di M.
«Sono finita da un tipo che valuta inediti! Forse gli piace il romanzo!»
«Benone! Ma spiega un po’ dove sei che ti raggiungo…»
«Aspetta… cerco il numero di padiglione e stand…»
Faccio un cenno d’intesa al biondino che mi osserva ora con aria decisamente perplessa, e mi allontano alla ricerca delle coordinate da suggerire alla mia amica M.
Inizio a mettere a fuoco meglio i dettagli del padiglione ed ho come la sensazione che qualcosa non torni.
Mi ritrovo sotto un’equivocabile locandina che ha tutta l’aria di essere un composit di parti anatomiche maschili e femminili, distribuite in percentuali perfettamente equilibrate.
Poi l’occhio mi cade sui libri disposti in ordinate piramidi sulle quali troneggia un elegante cartoncino dorato con la specifica “Vietata la consultazioni ai minori di anni 18”.
E davanti a me si manifesta anche, inequivocabile, il nome della casa editrice: “Amplessi e parole”...
«Oh no!» all’improvviso le ginocchia mi diventano molli come il budino servito negli ospedali la domenica come dessert.
«Pronto? Ma che succede?»
«Succede che ho appena avuto un colloquio con una casa editrice di romanzi porno…» rispondo tutto d’un fiato con le guance incandescenti.
«Coooosa? » M. scoppia in una risata spontanea e fragorosa «Per essere un’esordiente ti dai da fare eh!»
«Ha pure una mia copia! Cosa faccio ora?»
«E me lo chiedi? Fatti pubblicare! Diventerai ricchissima!»
«Non ci penso nemmeno! Io scappo!»
«Ma che dici! Fai un bel respiro e vatti a riprendere la copia!»
«Sto morendo di vergogna… mi guardano tutti!»
«Ma va! Sarà suggestione!» mi rassicura «Facciamo così: prendi la copia e poi percorri tutto il corridoio A e vai sempre dritto. Ci vediamo a casa Cookbook…capito?»
«Sì, ho capito!»
«Casa Cookbook eh? Guarda che lì si cucina così non puoi sbagliare…» precisa ironica M. «Se no chissà dove mi vai a finire!»
E pur di concludere il più in fretta possibile un’eventuale carriera nel mondo della letteratura erotica, decido di immolare a sacrificio una delle mie copie, senza avere il coraggio di tornare dal biondastro a recuperarla.
Pazienza.
Anche perché continuo a sentirmi tutti gli occhi addosso, in particolare quelli di una coppia madre-figlia che sembra attratta da me, come un magnete sul frigo.
La coppia ha un’aria vagamente familiare che, purtroppo per me, diventa decisamente familiare mentre avanza a passo deciso nella mia direzione.
Ed ecco che, in un battito di ciglia, mi ritrovo faccia a faccia con il naso schiacciato e lo chignon grigio muffa della mia capa.
«Guarda un po’ chi si vede…» replica sorpresa «Non eri a lutto per il funerale della tua prozia?»
«Ehm... sì… ma …il commiato è stato più veloce del previsto. Mi serviva un diversivo per riprendermi dal dolore ecco…» replico paonazza mentre i suoi occhi a spillo osservano, sbigottiti, la contorsione di corpi nudi alle mie spalle.
«Voglio sperare che non sia come sembra…» dall'alto dei suo gobbo metro e settanta mi fissa come una casalinga che ha appena scoperto un bagarozzo trotterellare sulla credenza.
«E… no, infatti, non è come sembra...»
«Hai una carriera alternativa di cui l’azienda non è al corrente?»
«No, assolutamente… io scrivo romanzi di tutt'altro genere… C’è stato solo un equivoco e io sono qui per caso…»
«Il genere mi sembra alquanto inequivocabile...» aggiunge gelida indirizzando lo sguardo verso le gigantografie erotiche.
Sto per spiegarle tutto l’accaduto quando il biondino slavato dello stand ci raggiunge. «Ah eccola qui. Ma dov’era finita?»
«Ecco io… ho avuto un contrattempo…» ribatto sempre più imbarazzata con le guance color pummarola fresca.
«Senta le lascio il mio biglietto da visita» aggiunge lui porgendomi un cartoncino rosso vivo «Mi chiami. Magari con un buon lavoro di editing qualcosa di buono viene fuori…»
«Eh… magari…» imbarazzatissima mi rigiro il bigliettino tra le dita senza sapere dove accidenti metterlo.
La Capa assiste alla scena muta, pallida, e pietrificata.
«Maman andiamo?» una petulante ragazzotta con i capelli schiacciati e una borsa di Prada abnorme come la sua circonferenza fianchi, la raggiunge sollecita «Al caffè letterario sta per iniziare la disquisizione sull’irresistibile anacronistico ritorno dell’autocrazia russa…»
«Sì tesoro, hai ragione andiamo, andiamo…» il suo tono velenoso si tinge di miele per un istante e poi si impasta nuovamente di fiele «Con te facciamo i conti domani. Otto e trenta. Non un minuto dopo. Nel mio ufficio.» sentenzia Senza possibilità di replica, facendo oscillare la lunga palandrana damascata con la quale si abbiglia per presenziare alle “occasioni speciali”, incontri su Putin compresi a quanto pare.
Io resto lì, imbambolata, con un biglietto da visita dal design hard core e lo spettro di una lettera di richiamo, già svolazzante sul mio spettinato carrè.
Una pin up dalle onde boccolose e una gonna a pois a vita stretta, si avvicina roteando e cinguettando al biondino slavato, seguita da una folla vivace.
La riconosco come l’autrice dell’acclamata trilogia “Sopra di me” “Sotto di me”e ”Dovunque ti pare” che da mesi svetta ai vertici delle classifiche accanto ai volumi “La carbonara in centro modi diversi” e “Preghiere quotidiane” tanto per dare un’idea della coerenza letteraria, tutta italiana.
Mi viene davvero la tentazione di riscrivere il mio romanzo in base alle “vivaci” tendenze di mercato e magari cavalcare l'onda e intitolarlo "50 sfumature di Viola".
Ma quando immagino le mie protagoniste rotolarsi allegramente tra le lenzuola Con baldi giovani dai bicipiti possenti e dalle prestazioni ineccepibili, sento un nuovo crampo allo stomaco.
In quel momento il mio cellulare squilla di nuovo.
Penso sia M. che stia per rivolgersi a “Chi l’ha visto?” ma invece una voce, sconosciuta e allegra, mi comunica che la mia storia breve sul cappero di Pantelleria è in vetta alle classifiche mensili e ne verranno acquistati i diritti.
Mi viene da ridere…
Tu lavori per anni su un romanzo, ne curi ogni minimo dettaglio e poi ti inventi in mezz’ora una storiella sui sottaceti e quella va in classifica…
Magari , se non sfondo come scrittrice, posso riciclarmi come testimonial di cetriolini e giardiniere…
Perché proprio non c’è niente da fare: la vita, come i personaggi, va sempre dove cappero gli pare...


©Monica Coppola

[poesie] - Porta la luce delle stelle con te [Loriana Lucciarini]


 

Porta la luce di stelle con te

Ci sono sere nelle quali la luce delle stelle la raccogli dentro te
ed essa sparge profumo d'infinito.
Te la porti dietro per un po', sorpresa per questa magia preziosa.
Altre son le sere sere nelle quali il suono dei passi sul selciato risuona nell'anima vuota.
Son le sere buie e silenziose della vita,
quelle più dolorose intrise di pianto. 

Ti auguro di incontrare spesso le prime,
ti daranno forza per quando ti troverai ad affogare nelle seconde.
T'aggrapperai a quel ricordo e a quei bagliori di luce
e non ti perderai. 

©Loriana Lucciarini

[racconti brevi] - Una ferita che brucia (Silvia Devitofrancesco)


UNA FERITA CHE BRUCIA 

L’amore che un figlio, di qualunque età egli sia, prova nei confronti della propria madre è qualcosa di smisurato e difficile da esprimere con le parole. Metaforicamente parlando, la madre diviene, per il proprio figlio, un porto sicuro quando il mare è in tempesta. Anche io, ovviamente, la pensavo così. Vedevo in mia madre, più “vecchia” di me di soli diciassette anni, una maestra di vita, nonché una grande confidente ed ero certa che non avrebbe mai tradito la mia fiducia, ma, ahimè, mi sbagliavo. Io e mia madre eravamo identiche: stesso sguardo, stesso colore di capelli, stesse passioni. Sono estremamente convinta, infatti, che anche le passioni facciano parte del corredo genetico di un individuo e io avevo ereditato dalla figura materna una grandissima passione per i libri. Mia madre era una grande lettrice-critica. Comprava i libri, li leggeva tutti d’un fiato fino a notte fonda e poi scriveva una sua personale critica letteraria. Fu grazie a questa sua passione che conobbe mio padre.
Un giorno, uscita dal liceo classico, mia madre decise di fare una sosta in libreria prima di tornare a casa per pranzo. Varcò con sicurezza le porte di legno e si immerse nel magico mondo che esse racchiudevano. Vagò per un’ora o poco più tra gli scaffali, afferrando volumi e leggendo le quarte di copertina, quando una voce maschile la fece sobbalzare piacevolmente. <<Salve signorina, posso esserle utile?>> Mia madre si voltò. Davanti a lei, un commesso dal volto sorridente la stava guardando attendendo la sua risposta. <<No, grazie, sto dando solo un’occhiata.>> rispose lei educatamente con la voce che le tremava. <<D’accordo, fai pure. Se hai bisogno di me, mi trovi laggiù. Fidati, io so tutto sui libri!>> <<Grazie>> Mia madre, in quel momento, pensò tra sé: <<O cielo, che tipo antipatico e presuntuoso!>> Rimise i libri al loro posto e tornò a casa.
La giovane ragazzina apparteneva a una famiglia tradizionale estremamente credente e, difatti, lei insieme a mia nonna, si impegnava, spesso, in attività di volontariato presso la vicina parrocchia e quel martedì, giorno dell’incontro epifanico, per usare le parole di mia madre, lei era così strana e confusa che dimenticò l’impegno. Trascorse tutto il pomeriggio seduta alla scrivania in compagnia di un brano tratto dalle “Storie” di Tucidide, il vocabolario di greco e il volto di quel giovane commesso impresso nella mente. Era bellissimo: sguardo profondo, diretto sulla realtà, barba lunga al punto giusto, fisico scolpito. Mia madre avvampò quando si accorse di desiderare una conoscenza più approfondita dell’aitante giovane. Chiuse il libro e afferrò il diario che teneva chiuso gelosamente nel cassetto della scrivania – quello stesso diario, con la copertina di pelle verde, che insieme ai movimenti del caso, è stato la causa della fine dell’affetto tra me e lei – e iniziò a scrivere tutto quello che era accaduto quel giorno, mettendo in risalto le sensazioni che quell’incontro puramente casuale aveva procurato in lei e che lei non avrebbe osato confessare nemmeno sotto tortura.
Fu un “colpo di fulmine”. I due si rividero e si piacquero. Il ragazzo era un neolaureato in lettere con una situazione familiare difficile alle spalle e sembrò trovare, accanto alla ragazza di buona famiglia, la sua serenità. Insieme sprigionavano vita e, una sera di maggio, io bussai alla loro porta. Era una sera calda, l’ideale per una passeggiata al mare al chiaro di luna. E fu proprio lì che i miei genitori crearono me. Mia madre, nel suo diario, usò parole dolcissime per raccontare questo episodio, dopotutto era una giovane donna innamorata. Appunto giovane e, per questo, ingenua.
Quando si accorse di aspettare me, mia madre corse subito in libreria. Avvicinò mio padre con un pretesto e gli comunicò la lieta novella. Lui le sorrise e la mandò a casa per riposare. Da quel giorno i due si persero. Mia madre tornò ripetutamente in libreria, ma nulla. Non esistevano i cellulari, le mail, facebook o twitter, per cui dovette prendere coscienza di essere sola. Visse dei mesi difficili influenzati anche dal contesto socio-familiare di fine anni settanta, infatti, era quasi un sacrilegio aspettare un figlio e non avere un marito. La povera donna confidava le sue paure al fedele diario e, sempre camminando a testa alta, riuscì a partorire e a continuare gli studi laureandosi e fondando una piccola ma rilevante casa editrice che denominò “Tutto sui libri”, la frase che le aveva rapito il cuore, quasi una memoria del suo unico grande amore.
Io, per quanto fossi stata simile a lei, non avrei mai potuto eguagliare la sua bellezza pura, evidente e ineffabile allo stesso tempo. Mi sentivo, rispetto a lei, diversamente bella.
Divenuta, ormai, anche io una donna e avendo scoperto l’amore, una sera invitai a cena il mio fidanzato, mio coetaneo, per avere la sua approvazione. A fine serata mia madre gli strinse la mano, lo guardò affettuosamente e ci augurò ogni bene. Non ebbi alcun timore o imbarazzo nel raccontarle la mia prima volta o i nostri progetti, tuttavia non sapevo che lei, in quel giovane ragazzo, fidanzato con sua figlia, aveva visto la possibilità di tornare ad amare.
Una mattina, mentre ero intenta a riordinare dei libri, notai, posata sul suo comodino, una copertina di pelle verde. Mi avvicinai e mi accorsi che si trattava di un diario. Lo aprii e riconobbi la sua calligrafia perfetta e così, spinta dalla curiosità, iniziai a leggere qualche pagina. Quelle parole mi produssero un senso di nausea e mi fecero perdere tutte le certezze: mia madre raccontava della sua liasone col mio fidanzato. Lanciai il diario contro il muro, preparai le valigie e scappai via sbattendo la porta. La implorai di non cercarmi più e lei non oppose resistenza, non cercò di farsi perdonare e di ricucire il nostro rapporto speciale, quasi simbiotico e si gettò a capofitto nel lavoro. Non nascondo di essere rimasta delusa. Spesso partecipavo alle presentazioni dei suoi libri e la osservavo da lontano, nascosta tra le gente. Appariva forte, sicura di sé, caparbia mentre io stavo provando a ricominciare da me e dalle mie passioni per trovare un nuovo equilibrio, anche se, ogni volta che mi guardavo allo specchio, in me trovavo lei e questo mi faceva male. Cambiai look, cambiai città e smisi di seguire gli eventi della sua casa editrice cosicché lei uscisse definitivamente dalla mia vita e, devo ammettere con fierezza, che ci riuscii.
Due anni dopo mi fu recapitata una lettera per informarmi che mia madre aveva perso la vita durante un incidente stradale e che mi sarei dovuta recare dal notaio per ereditare la casa editrice. Una lacrima amara mi rigò il volto e, forse davanti alla morte, la perdonai.

©Silvia Devitofrancesco