martedì 27 ottobre 2015

[Recensioni] - L'abbazia di Northanger di Jane Austen - a cura di Silvia Devitofrancesco




Catherine Morland assieme a una famiglia di amici trascorre alcune settimane di vacanza a Bath, dove ha modo di conoscere i Tilney e in particolare il giovane Henry verso il quale ben presto si accorgerà di provare attrazione. 
Grande lettrice di romanzi gotici, Catherine viene poi invitata dai Tilney a soggiornare presso l’antica abbazia di Northanger. Suggestionata dalle vicende lette nei libri, Catherine vivrà alcuni momenti di panico e terrore che metteranno a repentaglio, assieme a equivoci e a bugie, il suo rapporto con Henry.

“La sua passione per gli edifici antichi era seconda in grado solo alla passione per Henry Tilney,e castelli e abbazie riempivano generalmente di attrattive quei sogni a occhi aperti che ancora non erano riempiti dall’immagine di lui.” 

Pubblicato nel 1818, ma scritto tra il 1798–99, questo romanzo, un’opera giovanile della Austen, si configura come una parodia del romanzo sentimentale e del romanzo gotico e più in generale del mondo borghese del tempo. 
Catherine, la protagonista, è un’antieroina. Appartenente a una famiglia piuttosto umile, la giovane vive in campagna, lontana dalla vita mondana della città; non ha un elevato livello d’istruzione; non ha un carattere docile e soprattutto ha poche occasioni per conoscere gente e quindi incontrare la persona con la quale convolare a nozze. 
Il viaggio a Bath, meta per eccellenza dei viaggi borghesi, diventa per lei occasione per aprire gli occhi sul mondo che conta fatto di balli, serate a teatro, bei vestiti, acconciature, incontri strategici e pettegolezzi dei quali, suo malgrado, sarà presto oggetto. Talora un po’ ingenua, Catherine crede fortemente nel sentimento dell’amicizia e in suo nome tende a impostare la sua condotta di vita. 
Per quel che concerne, invece, la sfera amorosa, si può affermare che ella sia spinta da forze esterne: dicerie, bugie, giochi di convenienza che la porteranno dapprima a raggiungere la felicità, poi a perderla e infine a ritrovarla. 
L’opera è suddivisa in due volumi, che rappresentano i due filoni narrativi parodiati dall’autrice. Nella prima parte dell’opera ella narra le vicende come se si trattasse di un romanzo rosa, marcando volutamente alcune situazioni tipiche quali incontri, balli e rituali del tè. Nella seconda, almeno nei primi capitoli, ella descrive le atmosfere relativamente cupe e spettrali tipiche del romanzo gotico, per poi tornare ai canoni del romanzo sentimentale col lieto fine. 
Che la Austen si servisse di una vena sarcastica è cosa nota e, difatti, in quest’opera il suo stile rispecchia il suo intento. La sua prosa, per quanto ottocentesca, risulta di agevole lettura, fluida, molto dialogata, con descrizioni e ritmo incalzante che consentono al lettore di sentirsi parte delle vicende e di poter quasi interagire con i personaggi. 
Una Austen diversa. 
Un’opera fresca, frizzante e romantica. 
Un altro capolavoro della letteratura inglese ottocentesca.

©Silvia Devitofrancesco

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