venerdì 3 ottobre 2014

[racconti brevi] - Ritorno a Bari, di Silvia Devitofrancesco



RITORNO A BARI

Certe storie d’amore sono destinate a durare per sempre. Mai come oggi posso considerare questa massima vera. Esco dalla stazione di “Bari centrale” stringendo forte il manico del mio trolley e attraverso, in direzione della fontana, confondendomi tra miriadi di visi. Uomini, donne, bambini e universitari, tutti guardano l’orologio e alzano il passo. Qualcuno più attendo (o più calmo!) mi riconosce. Mi ferma. Mi ringrazia per aver scritto un libro che parla di vita vera, ambientato proprio a Bari e non in una grande città americana. Un libro semplice che riporta la voce di gente semplice. Quella gente che ogni mattina si reca a lavoro, che non si preoccupa di essere sempre impeccabile e alla moda, che non usa tante parole. Sì proprio quella gente è la protagonista del mio libro. Ringrazio con un enorme sorriso e con tante parole di autentica soddisfazione e proseguo.
Ho lasciato la mia città a malincuore, ma la vita, talora, è così imprevedibile. Vivo lontano e ogni giorno la rimpiango. Rimpiango il sole, il mare, il cibo e il folkore. 
Percorro via Sparano, attraverso piazza Umberto costeggiando il palazzo dell’Ateneo e poi proseguo verso corso Cavour. Lo stesso giro che compivo da ragazzina. Una tradizione che si rinnova a ogni passo.
«Perché sei tornata?» vi chiederete. Ecco, sono tornata perché... A dir la verità non c’è un perché. Anzi forse sì, per nostalgia. Avevo bisogno di camminare su queste strade, di sentire questo caldo umido e di specchiarmi nella mia infanzia.
Proseguo a passo sostenuto verso il lungomare. Lascio che il vento di scirocco mi scompigli i capelli e che i ricordi riaffiorino. Manco da Bari da un anno circa eppure non è cambiato nulla. Solo il vecchio “Boscolo hotel” è diventato “Nuovo hotel delle nazioni”, ma per il resto la sua essenza è la stessa. Mi fermo sullo spiazzo della “rotonda” che si snoda proprio dinanzi all’hotel. Mi siedo su una panchina e osservo il mare. Una distesa infinita di acqua che si confonde col cielo. A Bari tradizione vuole che la stagione balneare inizi a maggio e termini a ottobre e, difatti, scorgo alcuni ragazzi intenti a sguazzare liberi. Li invidio. Invidio la loro spensieratezza e la loro voglia di buttarsi, di infischiarsene, di essere se stessi.
Stringo forte, attraverso il tessuto della borsa, una copia del mio ultimo libro. Un dono per una persona speciale. Devo solo trovare il coraggio. Maledetto coraggio dove sei?
Una folata di vento procura un rapido moto ondoso. Ora posso sentire il mare infrangersi contro gli scogli. Ricordi.
Estate 2009
Lo conobbi tra i corridoi del prestigioso liceo “Flacco”. Lui bello e gentile era uno dei pezzi più ambiti e di certo io non avrei mai potuto immaginare che egli guardasse proprio me. Non volevo ammetterlo eppure era così. Quando hai appena diciassette anni non conosci vergogna. Non temi il rifiuto, perché sai che hai dalla tua parte l’incoscienza. Se ciò dovesse accadere, ti farai una grande risata con la tua compagna di banco. Mi convinsi a rivolgergli attenzioni e ad uscirci. Tutto accadde qui, proprio su una panchina come questa posizionata in questo spicchio d’asfalto, sotto un sole cocente. Poi la vita ci separò. Io cercavo l’irraggiungibile ed egli era stanco di farmi capire che bisogna sapersi accontentare. Fu questa la causa ufficiale del nostro allontanamento. Quella non ufficiale fu che ormai ci conoscevano troppo ed erano troppo diversi, troppo giovani, insomma troppo tutto.
Egli è il protagonista del mio ultimo romanzo.
Guardo il mare e in fondo il palazzo della provincia. Afferro il cellulare e apro facebook. “Troverai il libro laddove tutto iniziò e laddove tutto finì.”
Rapida, senza aspettare risposta, riafferro il mio trolley e mi dirigo spedita in direzione del castello svevo.
Mi è particolarmente difficile non perdere l’equilibrio sulle chianche, ma riesco ad arrivare sana e salva dinanzi al muretto del fossato, quel muretto dove innamorati e gruppi di persone si siedono nelle sere d’estate. Quel muretto sul quale ci sedemmo per darci il nostro primo bacio. Quel muretto sul quale ci sedemmo per dirci addio.
Sfilo la copia del libro e la poggio, come se qualcuno l’avesse dimenticato. Attraverso rapida e mi nascondo in una gelateria dalla quale posso vedere senza essere vista.
Non arriva nessuno. Il libro rimane lì a sfogliarsi spinto dal vento di scirocco. Ci sono amori che non sono destinati a essere eterni. Bisogna farsene una ragione e andare avanti per crescere, per sperimentare, per creare.
Mi alzo dal tavolino, lascio il libro su quel muretto in attesa che qualcuno se lo prenda e mi incammino tra i vicoli della città vecchia. Una tappa al panificio Fiore, un chilo di orecchiette acquistate da un’arzilla signora ferma sull’uscio di casa che mi guarda con aria simpatica e alla quale vorrei confidare le mie pene. Un nuovo giro in centro, tra palazzo Mincuzzi e via Putignani. In sottofondo la canzone del mare. Sempre nelle mie orecchie. Ritmo naturale ed eterno.
La sera fa capolino. Mi dirigo verso casa. Quella casetta piccola piccola su via Manzoni, ormai deserta. Quella casa che mi ha vista divenire una donna e scrivere le mie prime parole.  Mi aspetta mamma con la telia di pasta al forno e tanta voglia di abbracciarmi, per dirmi: « Figlia mia e mangia di più, che sei bella lo stesso anche con qualche chilo in più!»
Ecco perché amo la Puglia. Non c’è alcuna regione o posto del mondo in cui mi senta davvero a casa. La Puglia è luci, suoni e colori. E’ semplicità e lietezza. È avere i problemi e non sentirli, sorridere, perché c’è sempre una via d’uscita. Ecco perché non voglio lasciare la Puglia, perché qui riesco a sentirmi davvero me. Autenticamente me.
©Silvia Devitofrancesco

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