lunedì 2 giugno 2014

[ritratti] - Margherita Hack (Arianna Berna)


"L’amica delle stelle"

Ho scelto di parlare di Margherita Hack perché è una delle donne che più stimo. Di lei mi ha sempre colpito il coraggio di esistere a modo suo, infischiandosene delle convenzioni sociali per portare avanti i suoi ideali e lo stile di vita. Simpatica e semplice, nonostante i titoli di studio, gli incarichi ricoperti e le onorificenze ricevute.
Nasce nel 1922 e muore nel 2013 a pochi giorni dal suo novantunesimo compleanno, per problemi cardiaci.
Nella sua lunga vita Margherita Hack non ha perso tempo, a soli 23 anni si è laureata in Fisica, con una tesi sull'astrofisica. Nella sua impressionate carriera ha fatto un po’ di tutto, è stata docente universitaria, ha diretto un osservatorio, ma non si è limita a questo, ha scritto libri e grazie alle sue doti comunicative e alla visibilità che ha acquistato nel tempo ha combattuto per sostenere quanto in cui credeva: la libertà della scienza, la laicità dello stato e la parità dei diritti.
Il carattere inconfondibile di questa grande donna, che la rendeva speciale era la semplicità.
Semplice nel suo modo di porsi, nel vestire e nel parlare. Così semplice da riuscire a spiegare, concetti difficili prima di lei inaccessibili ai più. Già perché Margherita Hack è stata il primo scienziato a rivolgersi alla massa e a spiegare l'Universo in parole comuni. Sosteneva da sempre che "si dovrebbe insegnare la scienza fin dalle elementari'' e non posso che essere d'accordo, perché la mente dei nostri bambini è una meravigliosa spugna desiderosa di sapere, che va gonfiata di conoscenza.
Difficilmente qualcuno non ha sentito parlare di lei e delle sue tante iniziative. Quello che magari si ignora è che da ragazza era anche una sportiva, appassionata di pallacanestro e atletica leggera. Fu campionessa di salto in alto e in lungo nei campionati universitari. Non ci furono soltanto sport e studio nella sua vita, ma anche un grande amore, Aldo De Rosa che sposò nel 1944. In una lunga intervista che concesse a Repubblica nel 2006, aveva raccontato a modo suo, con l'inconfondibile simpatia toscana che la caratterizzava, gli albori di quel lungo cammino che l'avrebbe accompagnata per tutta la vita “Io avevo 11 anni e lui 13. Ci incontravamo ai giardini pubblici. Giocavamo a guardie e ladri, noi s’era sempre i ladri. Facevamo anche grandi tornei di palla e corse di resistenza. Ci arrampicavamo sugli alberi, e io lo battevo sempre. Ci siamo ritrovati all’università e a dire il vero ci eravamo piuttosto antipatici. Si litigava sempre, non mi ricordo poi com’è finita che ci siamo innamorati e addirittura sposati. Aldo è un’enciclopedia vivente che consulto in continuazione. Imprevedibile, timido, sognatore, come un extraterrestre, il mio opposto”.
Poi, parlando del matrimonio, continua “Io non avevo nessuna voglia di sposarmi. Considero il matrimonio una cosa inutile. In chiesa poi! Mi vergognavo come un cane. Ma i genitori di Aldo erano religiosi, erano credenti, ci tenevano… Il mio abito da sposa? Un cappotto rivoltato. Celeste, credo. E cosa portavo sotto non me lo ricordo neppure. Niente di speciale comunque. Anche Aldo aveva un cappotto rivoltato. Una cerimonia semplicissima, eravamo sette o otto persone in tutto. Nessun pranzo di nozze. Andammo lui e io da soli a mangiare in una trattoria a piazzale Michelangelo. Mangiammo certi spaghetti al pomodoro così cattivi che ancora me li ricordo”.
Non parliamo dei figli! “Mai, mai. Noi i figlioli non si volevano. C’è chi è portato e chi non è portato: io non sono portata. Da ragazza poi mi dava molta noia tutta quella propaganda di Mussolini secondo cui le donne dovevano fare figlioli per forza, e anche tanti. Oggi c’è molta retorica attorno alla maternità. Io preferisco i gatti. Mi hanno cresciuta nel modo più libero, senza ancorarmi ai ruoli femminili, inculcandomi due valori fondamentali: la libertà e la giustizia. Una grande fortuna per me”.
Nell'agosto del 2010 Margherita Hack è stata anche premiata a Torre del Lago Puccini come "Personaggio gay dell'anno" per la sua attività a favore dei diritti civili e del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali.
Nell’ultima intervista rilasciata a Giorgio Pagano dell'Associazione Radicale Esperanto, a pochi giorni dalla sua morte, ha ribadito l’importanza di conservare la lingua italiana nelle università italiane, dichiarando che “Secondo me non bisogna abbandonare la propria lingua, certi concetti si possono esprimere solo quando una lingua si conosce molto bene come la propria”.
Scelte fuori dal coro, su cui si può o meno essere d'accordo, ma in ogni caso denotano una forza e determinatezza di carattere così inusuale nella popolazione femminile, specialmente sua coetanea.
Umberto Veronesi l'ha definita "l'icona del pensiero libero e dell'anticonformismo" ed è così che mi piace ricordarla in questo mio rispettoso e umile tributo.
©Arianna Berna

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