lunedì 2 novembre 2015

[Racconti brevi] - Io & Carolina (di Monica Coppola)




Ho sempre viaggiato principalmente sui mezzi pubblici, sopportando scossoni, pestoni, spintoni e zaffate, che a confronto la Parigi narrata da Süskind sembrava Pitti Fragranze.
Però la durata della pazienza deve essere inversamente proporzionale all’incedere degli anni perché, qualche settimana fa, esausta e barcollante dopo l’ennesimo viaggio infinito sul bus, ho deciso di motorizzarmi anche io.
Noi di auto ne abbiamo una sola e si chiama Carolina, che ha esattamente la stessa età della nostra primogenita quindicenne. E forse, per affinità elettiva tra coscritti in preda alle medesime turbolenze ormonali, mette in pratica lo stesso comportamento imprevedibile, anarchico e a tratti irriverente. In parole povere Carolina, orgogliosa di questi anni vissuti spericolatamente e indefessamente on the road, fa beatamente quello che le pare, quando le pare. Come nostra figlia appunto.
E così un bel mattino ha deciso che le chiavi di scorta probabilmente erano una roba di serie b che lei, alla sua veneranda età e dopo anni di egregio servizio ha scelto di ripudiare.
Senza troppi complimenti si è intestardita come un mulo e a noi è rimasta una sola chiave di accensione a lei gradita, che ci passiamo uno con l’altro, avvolta in panni candidi di lino purissimo, come una reliquia.
In un secondo momento ha mandato in tilt la chiusura centralizzata in un modo tutto suo: in pratica mi costringe a chiudere a chiave ognuna delle quattro porte e poi rifare il giro di controllo, un numero x di volte, con un’ansia patologica crescente, stile Avrò chiuso il gas?
La mazzata finale è arrivata in una notte buia e tempestosa, ma poi neanche tanto perché a pensarci bene era estate, quando dei bipedi dal cervello come un gheriglio di noce l’hanno profanata sventrandole i tergicristalli come una scatoletta di tonno Rio Mare.
Per aiutarla a superare il brutto momento abbiamo iniziato ad essere più carini con lei, ognuno a suo modo.
Io ho realizzato home-made un meraviglioso calzino da basket in spugna, tutto imbottito di sale grosso, con miracolosi poteri anticondensa.
La piccola Chiara ha abbandonato nel vano portaoggetti un plumcake spiaccicato probabilmente di era mesozoica e mio marito – non ho capito perché – ha piazzato un grosso sombrero sul pianale posteriore.
E dire che in Messico non ci siamo nemmeno mai stati, né noi né tantomeno Carolina.
In attesa di scoprire che mistero si cela dietro la comparsa del sombrero, io e lei cerchiamo di barcamenarci come possiamo, considerando la mia scarsa attitudine alla guida e i suoi acciacchi.
Che tradotto sta per: io non sono Hamilton e lei non è una Ferrari.
Vogliamo stare lontane dai grattacapi e dalle infrazioni e quindi ogni mattina trotterelliamo pacifiche, ligie agli attraversamenti pedonali, ai limiti di velocità, ai gialli lampeggianti e alle precedenze a destra.
In realtà la questione delle precedenze è delicata perché io soffro di disorientamento destra sinistra e certi incroci mi ricordano quei terrificanti quiz stracolmi di macchine rosse-gialle-verdi-blu con freccette schizofreniche girate in ogni direzione.
Per essere sicura di non combinare danni con la precedenza io e Carolina siamo piuttosto galanti e generose: la diamo a destra e anche un po’ a sinistra.
Quando siamo di buonumore ci mettiamo a canticchiare.
Quindi le nostre mattine in realtà potrebbero filare lisce come l’olio se non fosse che c’è sempre qualcuno che viene a romperci i paraurti.
Una strombazzata di clacson che ti toglie dieci anni di vita, solo perché hai osato fermarti invece di spiaccicare direttamente sull’asfalto stile Willy Coyote, il nonnetto zoppo con la shopper ecologica e il Jack Russell dal collarino rosso.
Un sorpasso a tradimento su doppia striscia continua con zampillo finale a iniezione diretta nel finestrino di monossido di carbonio, idrocarburi e ossidi di azoto perché hai rallentato al giallo. Così tanto, da purificare epidermide e polmoni in un botto solo. E cancellare in un colpo di spugna, la pelle di porcellana ottenuta con l’idratante di YSL pagato a rate.
Se poi ti prende il desiderio di tentare un’arguta manovra in un parcheggio che sia diverso dalla lisca di pesce, allora la situazione si fa davvero seria.
Anche perché non appena ingrani la retromarcia e cominci a indietreggiare, quello spazio che solo pochi istanti prima sembrava ampio e confortevole, diventa angusto e ristretto, stile golfino post centrifuga.
E allora sono attimi di panico vero. Perché sei lì con il sedere dell’auto a levante e il muso a ponente, gli occhi strabuzzati e il terrore di sfiorare la scintillante SLK metalizzata che avresti giurato che un attimo prima non ci fosse, e dannazione ora è proprio a pochi centimetri dal traballante parafanghi di Carolina.
O di frantumare il fanale stile cartoon della stronzissima Smart che sembra fissarti come a dire: «Vedi? Io mi parcheggio anche tra gli interstizi di una striscia pedonale» e quasi senti il suo sogghigno malefico.
E nel frattempo tutto intorno è un karaoke di clacson che impazzano, finestrini che si abbassano, dita che si alzano e mi fermo qui, perché siamo in fascia protetta.
Allora sia io che Carolina che di solito siamo per la non violenza, decidiamo di non agire: schiaccio il tasto delle sicure, chiudo gli occhi e mi preparo al peggio.
Che arriva con le sembianze di un paffuto autocarro giallo arancio dalla bambolina tirolese che dondola allo specchietto, aggancia la fiammante SLK e se la porta via.
Nel posto libero resta il vecchietto claudicante con il Jack Russell della mattina che mi strizza l’occhio e mi mostra un cartello, ed io capisco che siamo state miracolate da un divieto di sosta.
Ammutoliti dalla scena, anche gli animi incarogniti degli altri automobilisti si placano. Del resto hanno già sfogato la dose mattutina di ira quotidiana e possono riprendere il loro tranquillo tran tran: le donne si incipriano il naso con sguardi furtivi al retrovisore, i maschietti si sistemano la cravatta.
Qualche pensionato sbuffa perché il divertimento è finito troppo presto e non resta che tornare ad osservare gli interminabili lavori dei cantieri a cielo aperto nella metropoli.
Oppure di aspettare con trepidazione il prossimo giallo lampeggiante…


©Monica Coppola

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