Certe storie d’amore sono destinate
a durare per sempre. Mai come oggi posso considerare questa massima vera. Esco
dalla stazione di “Bari centrale” stringendo forte il manico del mio trolley e
attraverso, in direzione della fontana, confondendomi tra miriadi di visi.
Uomini, donne, bambini e universitari, tutti guardano l’orologio e alzano il
passo. Qualcuno più attendo (o più calmo!) mi riconosce. Mi ferma. Mi ringrazia
per aver scritto un libro che parla di vita vera, ambientato proprio a Bari e
non in una grande città americana. Un libro semplice che riporta la voce di
gente semplice. Quella gente che ogni mattina si reca a lavoro, che non si
preoccupa di essere sempre impeccabile e alla moda, che non usa tante parole.
Sì proprio quella gente è la protagonista del mio libro. Ringrazio con un
enorme sorriso e con tante parole di autentica soddisfazione e proseguo.
Ho lasciato la mia città a
malincuore, ma la vita, talora, è così imprevedibile. Vivo lontano e ogni
giorno la rimpiango. Rimpiango il sole, il mare, il cibo e il folkore.
Percorro via Sparano, attraverso
piazza Umberto costeggiando il palazzo dell’Ateneo e poi proseguo verso corso
Cavour. Lo stesso giro che compivo da ragazzina. Una tradizione che si rinnova
a ogni passo.
«Perché sei tornata?» vi
chiederete. Ecco, sono tornata perché... A dir la verità non c’è un perché.
Anzi forse sì, per nostalgia. Avevo bisogno di camminare su queste strade, di
sentire questo caldo umido e di specchiarmi nella mia infanzia.
Proseguo a passo sostenuto verso il
lungomare. Lascio che il vento di scirocco mi scompigli i capelli e che i
ricordi riaffiorino. Manco da Bari da un anno circa eppure non è cambiato
nulla. Solo il vecchio “Boscolo hotel” è diventato “Nuovo hotel delle nazioni”,
ma per il resto la sua essenza è la stessa. Mi fermo sullo spiazzo della “rotonda”
che si snoda proprio dinanzi all’hotel. Mi siedo su una panchina e osservo il
mare. Una distesa infinita di acqua che si confonde col cielo. A Bari
tradizione vuole che la stagione balneare inizi a maggio e termini a ottobre e,
difatti, scorgo alcuni ragazzi intenti a sguazzare liberi. Li invidio. Invidio
la loro spensieratezza e la loro voglia di buttarsi, di infischiarsene, di
essere se stessi.
Stringo forte, attraverso il
tessuto della borsa, una copia del mio ultimo libro. Un dono per una persona
speciale. Devo solo trovare il coraggio. Maledetto coraggio dove sei?
Una folata di vento procura un
rapido moto ondoso. Ora posso sentire il mare infrangersi contro gli scogli.
Ricordi.
Estate 2009
Lo conobbi tra i corridoi del
prestigioso liceo “Flacco”. Lui bello e gentile era uno dei pezzi più ambiti e
di certo io non avrei mai potuto immaginare che egli guardasse proprio me. Non
volevo ammetterlo eppure era così. Quando hai appena diciassette anni non
conosci vergogna. Non temi il rifiuto, perché sai che hai dalla tua parte
l’incoscienza. Se ciò dovesse accadere, ti farai una grande risata con la tua
compagna di banco. Mi convinsi a rivolgergli attenzioni e ad uscirci. Tutto
accadde qui, proprio su una panchina come questa posizionata in questo spicchio
d’asfalto, sotto un sole cocente. Poi la vita ci separò. Io cercavo
l’irraggiungibile ed egli era stanco di farmi capire che bisogna sapersi
accontentare. Fu questa la causa ufficiale del nostro allontanamento. Quella
non ufficiale fu che ormai ci conoscevano troppo ed erano troppo diversi,
troppo giovani, insomma troppo tutto.
Egli è il protagonista del mio
ultimo romanzo.
Guardo il mare e in fondo il
palazzo della provincia. Afferro il cellulare e apro facebook. “Troverai il
libro laddove tutto iniziò e laddove tutto finì.”
Rapida, senza aspettare risposta,
riafferro il mio trolley e mi dirigo spedita in direzione del castello svevo.
Mi è particolarmente difficile non
perdere l’equilibrio sulle chianche, ma riesco ad arrivare sana e salva dinanzi
al muretto del fossato, quel muretto dove innamorati e gruppi di persone si
siedono nelle sere d’estate. Quel muretto sul quale ci sedemmo per darci il
nostro primo bacio. Quel muretto sul quale ci sedemmo per dirci addio.
Sfilo la copia del libro e la
poggio, come se qualcuno l’avesse dimenticato. Attraverso rapida e mi nascondo
in una gelateria dalla quale posso vedere senza essere vista.
Non arriva nessuno. Il libro rimane
lì a sfogliarsi spinto dal vento di scirocco. Ci sono amori che non sono
destinati a essere eterni. Bisogna farsene una ragione e andare avanti per
crescere, per sperimentare, per creare.
Mi alzo dal tavolino, lascio il
libro su quel muretto in attesa che qualcuno se lo prenda e mi incammino tra i
vicoli della città vecchia. Una tappa al panificio Fiore, un chilo di
orecchiette acquistate da un’arzilla signora ferma sull’uscio di casa che mi
guarda con aria simpatica e alla quale vorrei confidare le mie pene. Un nuovo giro
in centro, tra palazzo Mincuzzi e via Putignani. In sottofondo la canzone del
mare. Sempre nelle mie orecchie. Ritmo naturale ed eterno.
La sera fa capolino. Mi dirigo
verso casa. Quella casetta piccola piccola su via Manzoni, ormai deserta.
Quella casa che mi ha vista divenire una donna e scrivere le mie prime
parole. Mi aspetta mamma con la telia di
pasta al forno e tanta voglia di abbracciarmi, per dirmi: « Figlia mia e mangia
di più, che sei bella lo stesso anche con qualche chilo in più!»
Ecco perché amo la Puglia. Non c’è alcuna regione
o posto del mondo in cui mi senta davvero a casa. La Puglia è luci, suoni e
colori. E’ semplicità e lietezza. È avere i problemi e non sentirli, sorridere,
perché c’è sempre una via d’uscita. Ecco perché non voglio lasciare la Puglia, perché qui riesco a
sentirmi davvero me. Autenticamente me.
©Silvia Devitofrancesco
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