(parte 2)
Venerdì,
15 maggio: -1 al Viola Day
Ore
17.00
Francesca
dorme beata come un angioletto e io non posso crederci.
Uno
perché detesta i pisolini come i carciofi lessi e due perché inizio
a pensare che il mio discorso abbia effetti soporiferi. Il che, a
meno di quattro ore dalla presentazione in Sala incubatore, mi
inquieta un tantino.
«Francy!
Sveglia!», la scuoto preoccupata, «Ma che fai dormi?»
«No,
no… ti sto ascoltando…» biascica lei senza nemmeno aprire un
occhio. Io spengo la tv e lei si gira, beatamente, dall’altra
parte. Ormai quello che è fatto è fatto. Tra due ore verranno a
prendermi ed è ora di sistemare il look.
Guardo
la minacciosa guaina super modellante che ho acquistato completamente
sedotta dall’invitante claim “Due taglie
in meno in due minuti” e penso che se la
indosso rischierò l’iperventilazione.
La
rimetto nel cassetto confidando nella rassicurante inquadratura
a busto garantita dal tavolino di protezione
dietro cui parleremo.
Indosso
il vestito con le farfalle bianche e rosa che penzola dall’armadio
in attesa del suo momento e quando guardo l’effetto finale gli
angoli delle labbra si piegano all’ingiù. L’ho provato e
riprovato, eppure non mi piaccio per niente!
Il
giubbottino mi insacca e mi scalda, ma con le spalle scoperte mi
sento a disagio.
«Basta!
Vado in jeans!», impreco a me stessa, «Almeno sono più naturale.»
«Ma
se tu i jeans non li porti mai!» Francesca, che nel frattempo è
riemersa dal suo letargo, mi osserva incuriosita
«E
non importa! Inizio da stasera.», ribatto con la testa dentro
l’armadio, «Adesso ne trovo un paio e…»
«Hai
comprato almeno tre vestiti diversi. Ci rompi le scatole da mesi con
‘sta storia. E se adesso vai in jeans papà ti uccide. E anche io.»
mi minaccia pacatamente.
In
quel momento mi ricordo dell’abito a fiori e tulle che abbiamo
scelto insieme la domenica prima. Era stato amore a prima vista e
tanto ho fatto che me lo sono portato a casa.
«Che
ne dici di questo?»
«Dico
che tra mezz’ora ti vengono a prendere e sei ancora in mutande.
Vedi un po’ tu…»
Sbircio
l’orologio ed ho un brivido. Infilo l’abito e allaccio i sandali,
trampolando e ticchettando fino al bagno. Ripasso la piastra,
spennello la cipria, mordicchio le labbra, lotto con il piegaciglia.
E poi basta, decido di non guardarmi più.
La
parola d’ordine non è perfezione ma naturalezza, spontaneità.
Intanto
il citofono suona. Apro e qualche istante dopo sono sommersa dagli
amici e da una cascata di fiori viola. No ragazzi, così non vale…
Non
capisco più niente. Il cuore impazzisce, il cervello anche, il
mascara, irrimediabilmente, cola.
Mi
ritrovo nell’auto in direzione Salone e penso che se la felicità
ha un profumo, credo sia un misto di viola e di vaniglia.
Ore
20.30
Finalmente
ci siamo tutti.
Gli
attori che daranno vita alle pagine del romanzo, Gessica che è
appena arrivata da Marsiglia, la mia editrice Anna Sophie e Maria
Teresa che, suo malgrado, è stata coinvolta in questo sorprendente e
disordinato caos come illustratrice e come amica. Proviamo a
coordinarci e a dominare le emozioni. Gessica e gli attori sono
assolutamente tranquilli.
Io,
Mary ed Anna Sophie pagheremmo per scappare all’istante.
Mentre
sono concentrata vedo un volto familiare, anzi tre avanzare con aria
minacciosa nell’angolo remoto in cui ci siamo rifugiati per trovare
un momento di tranquillità prima del debutto.
A
passo deciso, quasi sommerso da un plateaux di viole del pensiero,
mio marito avanza verso di noi, seguito a ruota da mia madre e da mia
figlia Francesca che invece si guarda intorno curiosa alla ricerca di
qualche vip di passaggio con cui farsi un selfie.
Impettito
nel suo abito della festa, a cui chissà perché ha abbinato un
giubbino antipioggia che si ostina a tenere nonostante l’effetto
serra da salone, piomba nel bel mezzo delle nostre prove, piazzandomi
le violette sotto al naso, «Ti stiamo cercando da un’ora! Ti ho
fatto decine di chiamate!»
Io
guardo quello che fino a poche ore prima è stato un paziente e
amorevole marito e che ora ha assunto le sembianze di un Fioraio
Furioso, restando senza parole.
Gli
altri cinque paia di occhi oscillano dalla sottoscritta all’avatar
del mio coniuge.
Immancabile,
colossale, indimenticabile, figura di cacca.
Lancio
uno sguardo d’intesa a Francesca che mi sembra l’unica calma
perché mia madre nel frattempo , dopo avermi indirizzato un veloce
saluto, è accorsa allo stand di fronte tentando di accaparrarsi una
borsa in rafia omaggio.
Dopo
aver reindirizzato il mio parentado verso la Sala
Incubatore, riprendiamo da dove eravamo stati
interrotti. I tempi sono strettissimi, manca un microfono e il panico
rischia di prendere il soppravvento.
Gessica
mi aveva preparato al caos e agli intoppi tecnici del Salone ma, dal
vivo, è tutto diverso.
Mentre
avanzo verso la Sala Incubatore,
mi ricordo le parole di ieri «È una festa, un momento di gioia. La
realizzazione di un sogno.»
Intravedo
alcuni volti amici, vorrei già fermarmi ad abbracciare e
chiacchierare ma non c’è tempo.
La
sala si sta riempiendo. Le persone care hanno mantenuto la parola e
sono tutte qui con me.
Sento
la loro energia, l’affetto. Non lo dimenticherò mai.
Ma
ci sono anche delle blogger, alcuni incuriositi dalla folla ed altre
persone che non conosco.
Ripenso
a questi tre anni di fatica, di passione di tenacia. A chi è seduto
accanto a me ed ha dato un contributo indispensabile per trasformare
la mia idea in un romanzo vero.
A
Gessica che mi ha accompagnata facendo germogliare la mia idea.
A
Maria Teresa che ha disegnato la copertina, la locandina, le
cartoline i segnalibri e che fa tutto al solo prezzo della nostra
amicizia.
Ad
Anna Sophie di Booksalad che si è presa il rischio di investire in
una perfetta sconosciuta molto chiacchierona, piombata al Salone con
il suo manoscritto.
Le
luci si accendono ed illuminano le copie del romanzo disposte
accuratamente accanto a noi.
Ho
quasi l’impressione che Viola dalla copertina mi strizzi l’occhio
per dirmi che è pronta al debutto. Vuole uscire dal cassetto. Vuole
farsi leggere.
Non
mi ricordo più un’acca delle tecniche antipanico e di dizione,
sono già a salivazione zero ed ho le mani ghiacciate.
Mi
guardo intorno. Respiro il brusio di trepidazione, inspiro l’aria
di felicità e sorrido.
Adesso
sono pronta anche io.
©Monica
Coppola
Mi hai ricordato un po' il giorno della tesi. Aula magna piena, tensione, salgo sul palco, accendo la lavagna luminosa (mamma mia quanto son vecchio).
RispondiEliminaA quel punto con la luce negli occhi non ho visto più niente e sono andato a ruota libera,